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Si è tenuto il convegno “Montagna viva”, organizzato da Cia Reggio

di Redazione #Appennino twitter@gaiaitaliacomRE #Ambiente

 

“I cambiamenti climatici stanno profondamente cambiando l’agricoltura reggiana: occorre tenere conto dei rischi ma anche cercare di cogliere al meglio tutte le opportunità”. È il messaggio uscito dal convegno dal titolo emblematico ‘Montagna viva’ – tenuto oggi da Cia Reggio all’agriturismo ‘Le scuderie’ a Carpineti -, che ha scattato la fotografia della situazione del comprensorio dove la parte del leone viene fatta dalla zootecnia da latte per la produzione di Parmigiano Reggiano.

L’incontro – condotto da Claudio Gaspari (responsabile Cia Montagna) davanti a oltre sessanta agricoltori – è partito da una premessa d’obbligo: la tenuta dell’economia agricola nelle aree montane riduce lo spopolamento dei territori e contrasta i fenomeni distruttivi del dissesto idrogeologico. E perciò abbiamo tutti il dovere, cittadini ed istituzioni, di preservarla e sostenerla.

Il sindaco Tiziano Borghi (socio Cia e vicepresidente Unione Montana) ha portato il saluto degli enti e sottolineato “il fondamentale ruolo degli agricoltori per la conservazione di ambiente, territorio e paesaggio. Rilevo con soddisfazione che sono in crescita i giovani che lavorano nel settore: continuiamo così”. E sul futuro: “Sarà sempre più cruciale il tema del benessere animale per vincere le sfide sui mercati nazionali ed internazionali”. Ercole Lodi, presidente della Confederazione per la zona di Castelnovo Monti, ha quindi parlato del fondamentale capitolo ‘Parmigiano Reggiano’. Il 2018 è stato “un anno da record: i 111 allevatori Cia della montagna hanno contribuito alla produzione delle 3 milioni 700mila forme del Re dei Formaggi (+1,35% rispetto al 2017) con oltre 405mila quintali di latte. Dai 22 caseifici del comprensorio reggiano sono uscite 288mila 529 forme (il 36% del totale). Da notare come a livello provinciale, la produzione totale di latte Cia superi 1 milione 600mila quintali”. Gregori Federico (tecnico Cia) ha poi presentato i numeri dell’attività rimarcando come “la montagna è viva anche e soprattutto per merito degli agricoltori che lavorano quotidianamente sul territorio e in questo modo lo proteggono. Per quanto riguarda il ‘Piano di sviluppo rurale 2015-2018’, grazie al supporto degli uffici tecnici della Cia gli agricoltori sono riusciti a portare a casa oltre 6 milioni 600mila euro. Ma non è finita. Altri 16 milioni di contributi per superficie sono infatti poi stati ottenuti nell’arco temporale 2014-2018. Il totale supera dunque i 22 milioni 600mila euro. Federico è entrato quindi nel dettaglio dei finanziamenti arrivati. Tra questi, ben 4 milioni 150mila sono andati ai giovani della montagna, 480mila euro per il sempre più diffuso biologico del territorio, 165mila euro per la prevenzione dei danni da fauna selvatica”. Tutto questo grazie all’efficienza della Regione che ha già investito oltre l’80% dei fondi del Psr (Programma di sviluppo rurale).

Della necessità di una migliore gestione della fauna selvatica ha quindi parlato Francesco Zambonini (responsabile Cia zona di Reggio): “L’incontrollata proliferazione, specialmente nella parte medio-alta della montagna, causa gravi problemi agli agricoltori, a partire dai danni alla qualità del foraggio”. Sul tema cambiamenti climatici: “La siccità è un problema che deve essere affrontato con soluzioni efficaci. Sono necessari bacini di piccole – ma non solo – dimensioni che trattengano le acque e riescano così a dare agli agricoltori la possibilità di irrigare adeguatamente i campi”. Altro tema cruciale è il benessere animale. Le stalle Cia della montagna sono per il 77% a stabulazione fissa (66% la media provinciale della Confederazione), per il 23% libera (34%). “Servono azioni politiche per dare la possibilità agli allevatori di intervenire sulle strutture”, ha concluso. Paolo Rossi – ricercatore del Crpa (Centro Ricerche Produzioni Animali) – ha rimarcato come “il benessere animale è un impegno etico, da perseguire con decisione, che può dare (se perseguito come opportunità di miglioramento dell’organizzazione, delle strutture e delle tecniche d’allevamento) un vantaggio economico dovuto alla maggiore produttività e alla riduzione di alcune importanti voci di costo, in particolare le spese veterinarie”. Aldo Dal Pra’ (Crpa) ha quindi aggiunto che è proprio nella zootecnia “che si possono vedere le prime importanti conseguenze dei cambiamenti climatici. Non solo nei bovini che mal sopportano le elevate temperature estive e beneficiano invece degli inverni miti, ma anche nei campi. Le coltivazioni di montagna stanno mutando profondamente, specialmente quelle più esigenti di acqua come il mais. Per quanto riguarda i foraggi, la seminazione della medica non avviene più solo ad aprile ma – grazie agli inverni sempre meno rigidi – può essere fatta anche ad agosto. Ma naturalmente non mancano nuove criticità riguardanti quantità e qualità dei foraggi, criticità che devono spingere con forza a una gestione agronomica alternativa”. Infine è stata la volta di Antenore Cervi, presidente Cia Reggio, che ha tenuto le conclusioni. “Questo convegno è un’ottima occasione per fare il punto sul presente e le importanti sfide che ci aspettano. L’agricoltura che viene portata avanti su questi territori è eroica, e non può che esserlo condurre allevamenti intensivi e coltivare terreni con queste condizioni. Lo slogan nazionale della Cia è ‘Agricoltori Italiani: il Paese che vogliamo. Territorio, infrastrutture, innovazione”. Ed è proprio da qui che dobbiamo partire per continuare a fare il nostro mestiere. Qualcuno dipinge l’agricoltura con narrazioni bucoliche, con scenari da Mulino Bianco. La realtà non è però questa, soprattutto in Appennino dove le difficoltà sono ancora maggiori. Ma gli agricoltori della montagna devono avere gli stessi servizi e le stesse opportunità dei colleghi della pianura: non possono essere trattati come cittadini di ‘serie b’. Non dimentichiamo che sono i primi custodi e manutentori del territorio”. Sulla questione ungulati: “Invito chi ha subito danni a denunciare: solo così la Regione può avere la dimensione esatta dell’emergenza che stiamo vivendo. Occorre governare il numero di esemplari per evitare i continui danni che causano”. E sugli indennizzi: “Nel 2015 l’Atc metteva a disposizione 8mila euro, nel 2018 sono diventati 50mila. C’è stato un cambio di passo, ma forse serve un ulteriore sforzo”. Sul felice momento del Parmigiano Reggiano: “Un terzo della produzione avviene qui, in Appennino. E di questo non possiamo che esserne tutti orgogliosi. I risultati che si stanno raggiungendo sono molto positivi. Diversi i fattori: il sisma 2012 è stato colto come una opportunità per far conoscere il ‘Re dei formaggi’ in tutto il mondo, le capacità di export sono state migliorate, il ‘controllo in grattugia’ ha portato grossi benefici, e infine sono stati fondamentali i piani produttivi. Non mancano criticità, tra cui l’efficienza di caseifici con bilanci di trasformazione non omogenei, ma la strada di puntare sempre più sulla differenziazione e qualità è sicuramente quella giusta”.

In conclusione, il capitolo bilancio: “È positivo e trasparente grazie a un grande lavoro di squadra. La Cia siamo noi e gli ottimi risultati raggiunti lo dimostrano”.

 

 




 

 

(10 aprile 2019)

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